«...
PAGINA PRECEDENTE
Nel suo primo discorso dopo l'elezione a presidente degli Stati Uniti, venerdì sera, Barack Obama ha parlato di industria dell'auto come «spina dorsale» del sistema indutriale americano. Segno che non intende interferire nei piani di erogazione di un primo prestito statale da 25 miliardi già approvato e che probabilmente non si scaglierà contro un piano di salvataggio che ancora una volta, come per le banche, rischia di pesare sui contribuenti al punto da mettere in forse le promesse elettorali del primo afro-americano alla Casa Bianca.
La macchina degli aiuti di Stato è già in movimento dopo che le big three si sono fatte avanti, chiedendo 50 miliardi di dollari in aiuti federali per fare fronte alla peggiore crisi del settore in 25 anni. Il pacchetto consisterebbe in 25 miliardi per la spesa sanitaria e in altri 25 in liquidità sotto diverse forme, compresi finanziamenti pronti-contro-termine da parte della Federal Reserve. In cambio, le aziende offrirebbero al governo option sul loro capitale.
I democratici di Camera e Senato - forti della maggioranza conquistata nel voto del 4 novembre - stanno operando in queste ore consistenti pressioni sul presidente uscente George W. Bush per estendere al settore dell'auto il piano di salvataggio dell'economia da 700 miliardi di dollari - il cosiddetto Tarp, o Troubled Asset Rescue Plan - nato con lo scopo di evitare il tracollo delle banche e delle assicurazioni. L'imbarazzo sulla scelta di un'industria in crisi ben precisa (e che, come abbiamo visto, ha sprecato occasioni e bruciato risorse senza mostrare lungimiranza) passa per il discrimine secondo cui l'auto è connessa a doppio filo con una fetta consistente delle attività finanziarie del Paese. Insomma, un effetto domino è l'ultima cosa che vogliono a Washington e se ci sarà da scegliere tra figli e figliastri, si farà. (a cura di Alberto Annicchiarico)